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Libertà di obiezione sull’immigrazione (ma non sull’aborto)

DUE PESI E DUE MISURE
Libertà di obiezione sull’immigrazione (ma non sull’aborto)
di Felice Manti

Ci sono persone che provano a salvare vite nuotando controcorrente. A cui certe leggi dell’uomo fanno ribrezzo perché fanno a pugni con la propria coscienza. Sono medici, uomini di scienza che pensano che ogni vita meriti di essere vissuta, non importano le circostanze, né il colore della pelle. Che sanno dire «no, io questo non lo faccio» e a loro non importano le conseguenze del loro gesto, né lo sguardo severo dei colleghi, né l’opinione pessima che molta gente ha di loro. Navigano in acque agitate, sanno di essere in guerra contro un’idea di società in cui certe persone sono considerate degli scarti, di troppo. Carne da macello anonima, senza volto e senza nome, vittima di un mondo che ha quasi paura di loro, che preferisce non vedere, di un mondo che si nasconde dietro una legge per dire «tu non hai diritto di stare qui». Non siamo sulla Sea Watch ma nelle corsie d’ospedale. È quello che fanno i medici antiabortisti ogni giorno. Eppure per loro l’obiezione di coscienza non ha alcun valore. Eppure è la stessa testata d’angolo su cui i supporter dei salvataggi in mare a ogni costo giocano la loro partita contro il decreto Salvini e la stretta sull’immigrazione irregolare. È lo stesso appiglio etico-giuridico su cui si basa la difesa dell’ex sindaco di Riace Mimmo Lucano, che pur di dare diritto di cittadinanza a stranieri irregolari ha deciso scientemente di aggirare le leggi su cui ha giurato da primo cittadino. È la virtù della disobbedienza. E giù applausi. Non per i medici obiettori. Da decenni, sin da quando l’interruzione di gravidanza è diventata un diritto, a insaputa della stessa legge 194. I medici obiettori sono diventati bersaglio facile di chi li accusa di ostacolare una legge dello Stato. Perché credono in Dio. Perché credono che la vita sia intangibile. Perché credono nel diritto di nascere. E invece chi oggi difende il diritto degli immigrati a vivere violando le leggi dell’uomo si ostina a imporre il rispetto di una legge che difende il diritto di dare la morte. E dire che dal 2005 gli aborti sono in calo. È un bene, se si pensa che la ratio della legge è quella di ridurli. Invece no, è colpa degli obiettori. Come se la bontà di una legge si giudicasse da una macabra statistica. Secondo Filomena Gallo, segretario dell’associazione Luca Coscioni, «le donne hanno paura di recarsi in struttura per l’interruzione di gravidanza». Paura che un medico le convinca a cambiare idea. Che mostro, questo medico obiettore. «Perché in Italia non si fa nulla per rimuovere le cause che inducono le madri a una decisione innaturale, e la donna affonda nella sua solitudine. Il dolore la tormenterà per sempre, soprattutto quando avrà altri figli, e allora non cesserà di pensare a quello mai nato»». Parola di Massimo Segato, viceprimario di Ginecologia e autore di L’ho fatto per le donne. Confessioni di un ginecologo non obiettore: «Non esistono medici abortisti, solo medici che come me si sono portati sulle spalle questo macigno». Ma queste coscienze non possono parlare: «L’aborto è un fallimento, non è mai stato un diritto e nemmeno la legge 194 si è mai sognata di considerarlo tale», dice ancora Segato. No, i medici come lui devono tacere perché le vestali del politicamente corretto hanno deciso che la legge 194 è intoccabile mentre tutte le altre norme si possono calpestare. «Ora ho detto basta perché è come una guerra. Anche il soldato uccide, ma più uccide e più prova nausea per la guerra». E così la corsia diventa una trincea, dove non ci sono telecamere né vittime da mostrare, né deputati che strumentalizzano il dolore altrui, dove ciò che si vuole difendere è impalpabile come la libertà di un grumo di cellule pulsanti di essere già chiamato vita. Dove il grembo di una donna non è più un porto sicuro ma l’ultima, triste spiaggia dell’Occidente.

Il Giornale, sabato 29 giugno 2019